Non sono un gran divoratore di libri, di solito preferisco
la pizza (ahahahahahah), ma diciamo che almeno 4 o 5 all’anno me li porto a casa, soprattutto
nel periodo estivo.
In questi giorni di nullafacenza quasi totale, spulciando nella cartella ebook sul
pc mi salta all’occhio “Inferno”, l’ultimo romanzo di Dan Brown. Proprio
lui, lo spocchiosetto autore del New Hampshire che si è inimicato la Chiesa con
“Il codice da Vinci”, e che nonostante sia diventato super-famoso continua a
mettere quelle sue foto un po’ a ricchione in quarta di copertina.
Non avevo molta voglia di leggerlo, anzi ancora
ripenso alle ore gettate l’estate scorsa appresso a “Il simbolo perduto”, il
libro peggiore della storia della librarietà…del librarismo.....insomma, di sempre.
Vi faccio una recensione istantanea fotografica de "Il
simbolo perduto":
(Non scherzo, è passato un anno e ancora non riesco a
pensarci.
Ore gettate su un libro pessimo da tutti i punti
di vista. Avrei potuto fare altro, non so, recuperare l'antico vaso dell'Amaro Montenegro, salvare qualche balena dai giapponesi, boh...)
Ma torniamo a noi.
Dicevo, non volevo leggerlo, ma poi un mio amico ha detto
che era carino, e così ho voluto dare una seconda possibilità al signor Marrone. Anche perché peggio di così non poteva fare. E devo ammettere che sono
rimasto piacevolmente sorpreso : Inferno non è per niente malaccio, anzi.
Anche questo libro ha come protagonista il professor Robert
Langdon, stimato professore di Harvard, esperto di simbologia religiosa, nonché
portasfiga di dimensioni colossali. Una rogna assurda: ovunque si trova, succede
un guaio, peraltro di proporzioni enormi. La signora Fleccier e don Matteo, a
confronto, sono zampe di coniglio.
Il protagonista, stavolta, si risveglia in un ospedale di
Firenze con una forte amnesia, ricordando poco e nulla dei due giorni
precedenti (ma ha delle strane visioni legate alla Divina Commedia e alla
Peste). Come se non bastasse qualcuno sta cercando di ucciderlo. Parte, dunque,
una grande avventura a base di inseguimenti e enigmi in cui la matassa verrà
pian piano svelata.
Questo espediente, che Dan Brown usa secondo me anche per
evitare che si dica che i suoi libri sono tutti uguali (ed è vero), ha il
pregio di aumentare la tensione narrativa e il coinvolgimento del lettore nella
storia, che si mette completamente nei panni di Langdon e unisce i vari
tasselli della trama poco alla volta assieme a lui. Ogni tanto, per forza di cose, l’autore deve dedicare qualche capitolo a flashback
o a proverbiali spiegoni, tuttavia il ritmo, a mio modo di vedere, non ne
risente più di tanto.
Lo stile di scrittura di Dan Brown, che in molti criticano
per la sua semplicità, a me non dispiace, e poi essendo molto cinematografico cinematografò (si nota, ad esempio, quando passa frequentemente da un punto di vista ad un altro) si confà benissimo alla storia narrata.
L’autore statunitense è a suo agio soprattutto quando si inoltra nelle
descrizioni delle numerose opere d’arte presenti nel romanzo. Con frasi brevi e
pochi aggettivi, riesce a descrivere con efficacia ciò che i protagonisti
vedono, che sia un quadro di Vasari o la Basilica di San Marco.
Se posso permettermi una critica (anche se non ho i mezzi
per farla, e neanche gli interi (ahahahahahah), il
punto forte dello scrittore non è rappresentato dai dialoghi fra i vari
personaggi (Tarantino, gli dai un paio di lezioni?)
La trama di Inferno è carina,
strutturata e ritmata bene, con un paio di plot twist ben fatti (SPOILER tipo
il ruolo dell’agente Ferris), con escamotage narrativi ben congegnati (SPOILER la dottoressa Sinskey sedata dietro al
furgone, che dà l’impressione di essere rapita) e con un finale non scontato,
che è già grasso che cola.
I personaggi, compresi quelli secondari, sono caratterizzati
abbastanza bene.
Langdon abbiamo imparato a conoscerlo già nei libri
precedenti, e nonostante la sua cultura praticamente infinita e la sua
eccezionale capacità di risolvere enigmi, non è mai saccente o presuntuoso,
quindi non risulta antipatico.
Sienna Brooks è il personaggio più sfaccettato del romanzo, l’autore è riuscito a “darle profondità”, anche le più
enigmatiche delle sue azioni hanno tutte delle motivazioni di fondo: chapeau!
Bertand Zobrist è l’archetipo del genio folle e visionario, sfondato di soldi e
molto carismatico.
Il personaggio che mi ha fatto storcere il naso nel finale,
invece, è quello di Elizabeth Sinskey: SPOILER per tutto il
libro afferma che Zobrist è un folle, spende miliardi cercando di fermare
la diffusione del virus, poi, quando il
guaio è fatto e non sa come rimediare, dice "vabbè, ma forse ha fatto bene..."
SPOILER Mi ha divertito molto la cattura del Rettore. Tutto
carino, lui, pensava di averla scampata con l’aiuto dei suoi uomini, e invece…. dritto al gabbio e attento alla saponetta!
In definitiva, un romanzo capace di intrattenerti alla grande, grazie al ritmo sostenuto e alla trama non telefonata. Considerato anche il
libro precedente dell’autore, questo è quasi da Nobel. Promosso!